I biocarburanti
Negli ultimi tempi i biocarburanti stanno conquistando un posto di primo piano nella ricerca di alternative ai combustibili fossili, sospinti dagli elevati prezzi del petrolio, dalle possibili ricadute occupazionali per il settore agricolo e dall’allarme relativo all’inquinamento locale e globale. A tale proposito bisogna subito dire che non esiste una soluzione facile a questi problemi: i biocarburanti non fanno eccezione e richiedono una valutazione caso per caso, che tenga conto delle caratteristiche dei terreni coltivati, delle colture scelte, dei processi produttivi etc.
Cosa sono i biocarburanti
Parlando di biocarburanti la prima distinzione da fare è quella tra bioetanolo e biodiesel.
Come si ricava il bioetanolo?
Il bioetanolo – con caratteristiche affini alla benzina – può essere ricavato da qualunque materia prima vegetale contenente zuccheri (es. canna da zucchero) otrasformabile in zuccheri (es. mais e cellulosa). La trasformazione delle sostanze zuccherine avviene mediante fermentazione alcolica – che trasforma gli zuccheri in etanolo – e la successiva distillazione dell’etanolo.
Come viene utilizzato?
Viene utilizzato in miscela con la benzina, con limiti tecnici alla percentuale massima in miscela: fino al 5% senza apportare alcuna modifica al motore, fino al 10% con modifiche al sistema di carburazione e fino al 25% con modifiche significative al motore (carburazione, iniezione, pompa, filtri). Le specifiche UE ne indicano una percentuale in miscela del 5%. Per essere utilizzato puro (o quasi) necessita di autoveicoli costruiti ad hoc, come accade in Brasile, che ne è il maggior produttore al mondo subito prima degli Stati Uniti.
Come si ricava il biodiesel?
Il biodiesel – sostituto del gasolio per autotrazione – è ricavato da oli vegetali ottenuti dalla spremitura di semi oleaginosi (soia, colza, palma, girasole, arachidi). La tecnologia attualmente utilizzata – detta di prima generazione – è denominata FAME (Fatty Acid Methyl Ester) e consiste nel trasformare per mezzo di un alcool (metanolo) le molecole complesse dell’olio vegetale (trigliceridi) in molecole più semplici con proprietà affini agli idrocarburi del diesel tradizionale (trans-esterificazione).
Il futuro del biodiesel: le tecnologie di seconda generazione
L’odierna tecnologia presenta diversi limiti (bassa qualità del biodiesel, glicerina come sottoprodotto etc.) e pertanto il futuro del biodiesel sarà dominato da tecnologie innovative. Tra queste tecnologie – dette di seconda generazione – le più rilevanti sono quelle che nel processo di trasformazione dell’olio vegetale utilizzano idrogeno, per estrarre l’ossigeno dei trigliceridi sotto forma di acqua e/o anidride carbonica. Il processo è del tutto analogo a quello che si effettua normalmente nelle raffinerie sui prodotti petroliferi (idrotrattamento). Il biodiesel così ottenuto presenta caratteristiche qualitative migliori di quello di prima generazione in termini di contenuto energetico, densità, numero di cetano (principale indice di performance di un motore diesel), proprietà di scorrimento alle basse temperature.
La ricerca di frontiera
Un’ ulteriore alternativa produttiva, su cui punta la ricerca di frontiera, risiede nell’impiego di colture non tradizionali, come micro-alghe o altri micro-organismi. Tali colture non tradizionali dedicate in via esclusiva all’impiego energetico sono a crescita rapida, molto produttive, poco costose, e permettono inoltre una “bio-fissazione” dell’anidride carbonica, ovvero vantaggi certi dal punto di vista ambientale. Affinché tali tecnologie possano affermarsi su larga scala occorre un notevole sforzo di ricerca e sviluppo relativamente alla selezione dei ceppi e all’efficienza dei processi.
Dove viene venduto il biodiesel?
Il biodiesel è commercializzato quasi esclusivamente in Europa. Tecnicamente può essere utilizzato in molti motori diesel anche allo stato puro ma il rischio di problemi tecnici è molto elevato (ostruzione del filtro di alimentazione del carburante, danneggiamento delle guarnizioni o dei tubi di adduzione del combustibile etc.). Invece, miscele fino al 30% di biodiesel possono essere utilizzate senza alcuna modifica al motore né penalizzazione delle performance. In ogni modo, così come per il bioetanolo, le attuali specifiche UE consentono un contenuto massimo di biodiesel nel gasolio del 5%.
Criticita’
Quali sono le criticità dei biocarburanti? I quesiti aperti riguardo i biocarburanti sono essenzialmente di quantità, costi, impatto ambientale e rischio normativo.
Quantità
Occorrono enormi superfici per ottenere volumi di biocarburanti che abbiano un impatto anche minimo sui consumi per trasporti. Ad esempio in Italia, se tutto il terreno coltivabile (circa il 40% dell’intera superficie nazionale) fosse coltivato a colza si potrebbe arrivare a sostituire appena il 15% dei consumi di derivati del petrolio.
Costi
In termini di costi, i biocarburanti restano non competitivi rispetto ai prodotti di origine petrolifera, anche con il greggio a 60 dollari/barile. Produrre un litro di bioetanolo con lo stesso potere calorifico della benzina costa il 50% in più della benzina negli Stati Uniti e oltre il doppio in Europa. Solo in Brasile la produzione è competitiva già per prezzi del greggio superiori ai 30-35 dollari/barile, ma tale situazione sembra unica e difficilmente replicabile (estensione dei terreni, costo della manodopera etc.). Inoltre, sia per il bioetanolo che per il biodiesel, i costi e la competitività potranno essere ulteriormente intaccati nei prossimi anni dall’alto costo delle materie prime, molte delle quali (grano, mais, palma, soia, girasole) hanno come mercato principale di sbocco quello alimentare.
Impatto ambientale
Per quanto riguarda l’impatto ambientale, a livello globale occorre guardare all’intero ciclo di produzione e utilizzo dei biocarburanti (dal pozzo alle ruote, “well-to-wheel”). La difficoltà risiede soprattutto nel valutare la fase di produzione, i cui esiti differiscono a seconda della localizzazione geografica e del processo di trasformazione considerato. In termini di emissioni di anidride carbonica, il bilancio ambientale dei biocarburanti appare positivo rispetto ai carburanti di origine fossile – in particolare per il biodiesel (riduzione delle emissioni del 25-80%) – purché la loro produzione non sia associata a deforestazione. Tuttavia l’effetto complessivo sulle emissioni di gas serra è più incerto a causa delle possibili emissioni di protossido di azoto derivante da un ampio uso di fertilizzanti. Tali emissioni (difficili da stimare) possono rendere negativo il bilancio ambientale dei biocarburanti: come gas serra il protossido di azoto ha un effetto di riscaldamento (“warming”) pari a circa 300 volte quello dell’ anidride carbonica. Per quanto riguarda i fenomeni di inquinamento locale, nella fase di combustione i biocarburanti presentano diversi vantaggi: non emettono anidride solforosa in quanto privi di zolfo, non contengono poliaromatici che sono tossici e cancerogeni e – per quanto riguarda il biodiesel – determinano minori emissioni di monossido di carbonio e di particolato rispetto al gasolio di origine fossile. Infine, grande attenzione va posta a fattori collaterali, come i consumi di acqua e il possibile impoverimento (sterilità) dei suoli.
Rischio normativo
Il rischio normativo nel settore dei biocarburanti è molto elevato, sia per i possibili cambiamenti del quadro legislativo sia perché molti dettagli riguardo le normative devono ancora essere chiariti (ad esempio l’eventuale mix bioetanolo-biodiesel per rispettare le quote). Gli obiettivi fissati di recente dalla Commissione Europea in tema di biocarburanti sono molto ambiziosi. Già con la Direttiva 2003/30/CE il parlamento europeo aveva imposto a tutti gli Stati membri una percentuale di biocarburanti del 2% al 2005 e del 5,75% al 2010 rispetto al totale della benzina e del gasolio immessi sul mercato. L’obiettivo per il 2020, con la nuova Direttiva attesa, è fissato al 10%. Peraltro la quota va calcolata a parità di contenuto energetico, tenendo conto cioè del fatto che un litro di biocarburante ha un contenuto di energia (potere calorifico) minore dei carburanti tradizionali (bioetanolo: -37% versus benzina; biodiesel di prima generazione: -11% versus gasolio). Di recente la stessa Commissione Europea in una relazione sui progressi compiuti dagli Stati membri ha definito difficilmente conseguibili gli obiettivi fissati per il 2010. Basti pensare che al 2005 i consumi di biocarburanti degli Stati membri rappresentano appena l’1% circa sul totale benzina e gasolio. I paesi che hanno fatto riscontrare i maggiori progressi, rispettando l’obiettivo del 2% indicato per il 2005, sono Svezia e Germania: la prima grazie alle importazioni di bioetanolo dal Brasile, la seconda grazie principalmente al biodiesel di produzione propria (principale produttore europeo, con una quota del 52% sull’UE-25). Un punto chiave che resta aperto è quello dei dazi sulle importazioni. Se le esportazioni future da paesi dove le produzioni di biocarburanti sono più vantaggiose – con costi tali da renderli concorrenziali rispetto ai carburanti tradizionali – saranno penalizzate da dazi eccessivi, ne verrà compromessa la competitività.
Possibilità future
In conclusione la possibilità per i biocarburanti di raggiungere quote significative dei consumi di carburante dipenderà da due principali fattori: la ricerca tecnologica e una normativa credibile e non distorsiva che consenta di dedicare a tali produzioni le aree del pianeta più adatte.
Le iniziative Eni
Per l’Eni i biocarburanti rappresentano, insieme al solare, una delle fonti alternative fondamentali su cui puntare, oltre all’efficienza energetica. Questi sono i pilastri fondamentali del programma di ricerca Eni per le fonti alternative approvato nell’ambito del Piano Strategico 2007-2010. In particolare riguardo i biocarburanti, consapevole che il bilancio energetico e ambientale va valutato caso per caso, l’Eni ha deciso di operare su due filoni paralleli.
La prima via della ricerca
Il primo è quello di individuare paesi, soprattutto africani, in cui è già presente come core-business, per iniziative di biocarburanti da colture tradizionali con la più altra resa e eco-compatibilità. Tali iniziative potrebbero sposarsi con le esigenze di tanti di quei paesi di sviluppare settori alternativi a quello in molti casi dominante – il petrolio – offrendo alternative economiche alla popolazione.
La seconda via: la ricerca di frontiera
Il secondo filone riguarda la ricerca di frontiera. Eni investe nel campo della selezione di piante a crescita rapida ed elevata produttività, a esclusivo impiego energetico (non in competizione con il mercato alimentare) e nello sviluppo di tecnologie di nuova generazione per biocarburanti a elevato rendimento e alta compatibilità ambientale, basate su micro-organismi quali microalghe, lieviti e batteri. In questo ambito si colloca il progetto di realizzare, presso la raffineria di Gela, un impianto dimostrativo per la coltivazione di microalghe ad alta resa, da cui ricavare un olio vegetale idoneo a essere impiegato per la produzione di biocarburanti. Il grande interesse risiede nel fatto che il processo di crescita delle alghe impiega come nutrienti l’azoto e il fosforo presenti in acque reflue e l’anidride carbonica tratta da gas esausti di raffineria, garantendo al tempo stesso il trattamento di “ripulitura” delle acque reflue e della corrente gassosa. Altro focus dell’innovazione tecnologica Eni risiede nello studio di processi BtL (Biomass-to-Liquids), basati sulla gassificazione della biomassa e successiva produzione di biocarburanti di sintesi. Infine, Eni è già impegnata anche in maniera concreta sul fronte dei biocarburanti di seconda generazione con l’innovativa tecnologia Green Diesel, in collaborazione con un partner USA. E’ in fase avanzata di progettazione un’unità dedicata alla produzione di tale biodiesel dalle alte prestazioni nella raffineria Eni di Livorno (capacità: 250 kton/anno).